Olimpia Fontana
Commento n. 290 - 27 marzo 2024
Le conseguenze del cambiamento climatico hanno impatti diretti evidenti sulle nostre vite, ma producono anche effetti indiretti per la politica monetaria delle banche centrali. Esse subiscono inevitabilmente gli shock climatici, ma allo stesso tempo reagiscono, se del caso modificando il loro modo di condurre la politica monetaria. Questo vale soprattutto per la Banca centrale europea (Bce), che negli ultimi anni ha iniziato a incorporare il cambiamento climatico nelle proprie operazioni.
Nel 2018 Benoît Cœuré, allora membro del Comitato esecutivo della Bce, avvertì che il climate change “se lasciato incontrollato, potrebbe complicare ulteriormente l’identificazione corretta degli shock rilevanti per le prospettive di inflazione nel medio termine, potrebbe aumentare la probabilità di eventi estremi e quindi erodere più spesso lo spazio politico convenzionale delle banche centrali, e potrebbe aumentare il numero di occasioni in cui le banche centrali si trovano di fronte a un trade-off che le costringe a dare priorità alla stabilità dei prezzi rispetto alla produzione”. L’orientamento climatico ha poi preso forma con la Strategy Review del 2021, in cui la Bce riconosce l’impatto che il cambiamento climatico ha sull’economia e sul sistema finanziario. Tutto ciò si ripercuote sull’obiettivo finale “come da mandato” della stabilità dei prezzi, intesa come un tasso di inflazione basso, intorno al 2%. Un obiettivo che rappresenta anche un vincolo rispetto al suo margine di azione.
Il cambiamento climatico pone due tipi di rischi: rischi fisici, ovvero danni causati sia da eventi estremo (siccità, inondazioni) sia da processi graduali (l’aumento costante delle temperature), e rischi di transizione, derivati dalle politiche climatiche nel passaggio dai combustibili fossili verso le fonti rinnovabili. Questi rischi hanno effetti sulle variabili di riferimento che la Bce prende in considerazione nell’ideare una corretta strategia monetaria che tenga conto del climate change.
Ciò che è rilevante per una banca centrale è la natura di uno shock: si tratta di uno shock dal lato della domanda, che influenza componenti come il consumo e gli investimenti, oppure dal lato dell’offerta, che riguarda i fattori della capacità produttiva, ovvero il lavoro, il capitale fisico e la tecnologia? Nel caso di shock di domanda, la politica monetaria agisce in modo chiaro: essa deve frenare l’aumento del Pil e l’aumento dell’inflazione alzando i tassi di interesse (politica restrittiva); al contrario, deve stimolare l’economia quando Pil e inflazione sono bassi, riducendo i tassi (politica espansiva).
Nel caso di shock da offerta invece è più complicato stabilire la giusta condotta, perché Pil e inflazione si muovono in direzioni opposte. Così, in caso di shock negativo dell’offerta, si avrà un aumento dei prezzi e una diminuzione della produzione. In questo caso una politica restrittiva che tra i due mali opta per curare l’inflazione, dall’altra comporta anche un peggioramento della produzione. È il trade-off che si trova a fronteggiare la politica monetaria: quello di dover stabilizzare l’inflazione, cercando di mantenere nel contempo il livello dell’attività economica.
La difficoltà con i rischi climatici sta nel fatto che essi rappresentano una combinazione simultanea di shock da domanda e da offerta, esacerbando il trade-off di politica monetaria. Per esempio, eventi meteorologici estremi incidono come shock negativo sia dell’offerta (es. distruzione di colture, edifici e infrastrutture) e conseguente aumento dei prezzi, sia della domanda, a causa dell’incertezza che frena le decisioni di investimento e di consumo. Ad aggravare ulteriormente il quadro, i rischi di transizione, come misure di carbon pricing (prezzo sulle emissioni), che potrebbero esercitare ulteriore pressione inflazionistica, al pari di uno shock da offerta. L’effetto sull’inflazione, osservato ad oggi nell’ambito dell’Emission Trading System - ETS (il carbon price europeo), è piuttosto modesto e gradualmente svanisce. La Bce finora ha mantenuto un approccio cosiddetto “look through”, cioè lo shock è considerato una fluttuazione di breve termine che non richiede necessariamente una reazione della politica monetaria (fintanto che non si generano aspettative inflazionistiche tra imprese e lavoratori). Per quanto riguarda l’effetto sul Pil, la riforma dell’ETS con livelli di carbon price più elevati (necessari per attuare il Green Deal europeo) potrebbe determinare una riduzione della produzione nel breve e medio termine, quindi complicare la situazione per la Bce. Tuttavia, misure compensative potrebbero facilitare la transizione e giovare all’azione monetaria.
Anzitutto, la politica fiscale può effettuare trasferimenti a famiglie e imprese, agendo come un ammortizzatore dell’impatto negativo sul potere d’acquisto. La Commissione europea ha istituito il Social Climate Fund, finanziato dai proventi del carbon price sulle emissioni del trasporto stradale e degli edifici, e usato per contrastare casi di povertà energetica nei paesi membri. Inoltre, una riallocazione settoriale di capitale con ingenti investimenti nel settore delle energie rinnovabili, potrebbe più che compensare le enormi perdite di capitale nel settore dei combustibili fossili. Un altro elemento facilitante sarà la disponibilità dal lato dell’offerta di materiali (critical raw materials) e tecnologie per l’energia pulita a costi contenuti, onde evitare una ulteriore minaccia inflazionistica – quella che Isabel Schnabel ha definito greenflation – a cui potrebbero seguire misure monetarie restrittive, a danno della domanda. Infine, la Bce può a sua volta avere non solo una funzione difensiva, ma anche un ruolo proattivo sulla transizione, attraverso misure di green monetary policy, come il prevedere all’interno del proprio bilancio una maggior quota di titoli che finanziano progetti per la transizione (green bonds). Ciò tuttavia deve fare i conti con un’interpretazione più o meno ampia del vincolo legale del proprio mandato.
In conclusione, l’effetto del cambiamento climatico sulla politica monetaria della Bce è difficile da determinare. Vi è il rischio che l’attuale fase inflazionistica e il ripetersi di shock climatici possano restringere l’efficacia della politica climatica attuata dall’Ue. Una delle condizioni necessarie per favorire la transizione è che essa avvenga in modo ordinato, prevedibile e puntuale. L’Ue ha dettato un’agenda climatica tra le più ambiziose al mondo e la Bce è chiamata al difficile compito di contribuire alla transizione, muovendosi tuttavia tra le maglie strette del proprio mandato di stabilità dei prezzi. A meno che tale mandato non venga rivisto in favore dell’obiettivo secondario della Bce, ovvero sostenere le politiche economiche dell’Ue (Art. 127 del Trattato sull’Unione europea), tra cui la protezione e il miglioramento della qualità dell’ambiente.
*Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo e Ricercatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
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