Europa e federalismo: quando la storia accelera

Europa e federalismo: quando la storia accelera

Flavio Brugnoli

Commento n. 246 - 10 maggio 2022 

Quando il Presidente Mario Draghi parlando davanti al Parlamento europeo, il 3 maggio scorso, ha evocato un “federalismo pragmatico” e un “federalismo ideale” è stato chiaro che avrebbe indicato prospettive nuove e impegnative per l’Unione europea (Ue). Un ulteriore e coraggioso passo nella direzione tracciata fin dal suo discorso programmatico al Senato, il 17 febbraio dello scorso anno, per un governo che nasceva “nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori”.

Quel governo – voluto anzitutto per portare a buon fine la campagna vaccinale e fare buon uso dei fondi di Next Generation EU – così come l’intera Ue si sono trovati a fare i conti con uno scenario sconvolto dall’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina. Un punto di svolta che l’Ue ha affrontato con fermezza e unità, sia con la fornitura di armi (pagate con fondi europei) a sostegno dell’Ucraina sia con una generosa politica di accoglienza verso i rifugiati ucraini. Un quadro drammatico, che obbliga noi europei a rivedere analisi e valutazioni passate e ci sprona ad aprire gli occhi su nostri ritardi e debolezze. Ma, ancora una volta, le crisi sono per l’Unione anche opportunità, non più rinviabili, per avanzare nel processo d’integrazione.

Ieri, giorno della Festa dell’Europa, si è chiusa a Strasburgo la Conferenza sul futuro dell’Europa. Gli interventi di Roberta Metsola, Ursula von der Leyen ed Emmanuel Macron, a nome delle istituzioni europee, hanno sottolineato il bisogno di un’Europa efficace e ambiziosa. Pandemia e guerra sono fattori “trasformativi” che hanno messo in moto cambiamenti epocali. La Conferenza è un’esperienza innovativa che offre un’occasione per favorire i passi avanti necessari, peraltro noti da tempo. A un’Europa “padrona del proprio destino” occorrono (almeno) una vera capacità fiscale, con un bilancio adeguato alla produzione di “beni pubblici europei”, e il superamento del potere di veto in tutti gli ambiti, se del caso attraverso forme di integrazione differenziata. Le proposte scaturite dalla Conferenza possono servire da innesco e acceleratore del cambiamento.

Il federalismo “pragmatico” e insieme “ideale” evocato da Draghi indica all’Unione la necessità di saper tenere insieme interessi e valori europei. Se c’è un concetto chiave che può fare da bussola in questo scenario è quello della “autonomia strategica” europea: dalla difesa all’energia, dal digitale alla sanità, dai microprocessori all’alimentare. Un concetto che Macron aveva già evocato nel suo discorso alla Sorbona del 2017 e che ha ripreso e rafforzato ieri a Strasburgo, parlando di “indipendenza europea”. Si tratta di processi in divenire, che devono affrontare nodi strutturali a lungo sottovalutati. Ed è purtroppo sotto gli occhi di tutti – specie dopo il 24 febbraio – quanto pesi il “fattore tempo” in tali scelte, a sfavore dell’Unione.

L’invasione dell’Ucraina ha mutato le coordinate della sicurezza europea. Ha spinto a riconsiderare le ragioni dell’allargamento della Nato alle nuove democrazie europee (mentre pare imminente la richiesta d’ingresso nell’Alleanza da parte di Svezia e Finlandia) e ad accantonare analisi ottimistiche e passatiste sui rapporti con la Russia putiniana. Certo oggi, di fronte alla guerra, non serve invocare un “negoziato” purchessia. Nondimeno, l’Ue – nel rispetto delle scelte dell’Ucraina aggredita – deve continuare a lavorare almeno per una tregua non effimera. Come indicato da Draghi a Strasburgo, “l’Europa può e deve avere un ruolo centrale nel favorire il dialogo”. Un dialogo che l’Ue deve tenere aperto anche con i grandi protagonisti “neutrali” rispetto al conflitto, a partire da Cina e India. Anche di questo probabilmente parlerà oggi Draghi al Presidente Biden a Washington.

Costruire un effettivo pilastro europeo della difesa, nell’ambito della Nato, dovrà consentire a noi europei di agire “con i nostri alleati dove possibile, da soli quando necessario”. La “Bussola Strategica” approvata un mese dopo lo scoppio della guerra offre un utile quadro di riferimento, anche se rischia di essere più l’ultimo documento di un mondo passato che il primo di un mondo nuovo. Tanto più che il suddetto “fattore tempo” spinge ad aumenti di spese militari dettati da interessi nazionali di corto respiro o dall’urgenza (si pensi all’acquisto degli F-35 da parte della Germania, pur se accompagnato dall’impegno a proseguire nel progetto SCAF). Sacrosanta, quindi, la richiesta di Draghi a Strasburgo di dare vita al più presto a una “Conferenza per razionalizzare o ottimizzare i nostri investimenti in spesa militare”.

Il tema della (in)dipendenza energetica dell’Unione è un compendio di tutti gli errori accumulati in questi anni e, nel contempo, dell’importanza delle svolte finalmente intraprese. Mentre gran parte dell’Europa ha accresciuto la propria dipendenza dal gas russo, anche dopo l’occupazione della Crimea nel 2014, la scelta della Commissione von der Leyen di puntare su transizione ecologica ed European Green Deal ha tracciato una via lungimirante per il passaggio alle rinnovabili e la decarbonizzazione. Anche qui, le strozzature a breve termine non devono indebolire l’obiettivo dell’uscita dalle energie fossili, in un difficile bilanciamento fra breve e medio-lungo termine, che però ha al centro la salvezza stessa del pianeta.

Di fronte al “nuovo disordine mondiale” dobbiamo sforzarci di costruire una nuova e più solida Europa. Nelle motivazioni del Nobel per la Pace 2012 assegnato all’Unione si ricordava “il ruolo di stabilizzatore svolto dalla Ue [che] ha contribuito a trasformare in buona parte l’Europa, da un continente di guerra a uno di pace”. L’allargamento è stato per l’Unione un fondamentale strumento di politica estera, nel caso dell’Europa centro-orientale spesso oggetto di critiche miopi. Oggi che nuovi Paesi sono in attesa alle porte dell’Europa e che l’Ucraina combatte per difendere la propria vocazione europea, dobbiamo pensare a un’architettura istituzionale nuova. Anche la pace europea – per citare la Dichiarazione Schuman – “non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

Mario Draghi a Strasburgo ha indicato che per l’Ue “una prima accelerazione deve riguardare il processo di allargamento”: apertura dei negoziati di adesione con l’Albania e con la Macedonia del Nord, nuovo slancio ai negoziati con Serbia e Montenegro, massima attenzione alle aspettative di Bosnia Erzegovina e Kosovo; “siamo favorevoli all’ingresso di tutti questi Paesi e vogliamo l’Ucraina nell’Unione europea”. Più prudente il Presidente Macron ieri, nel ricordare che l’adesione può richiedere anni se non decenni e nell’immaginare, riprendendo la visione di Mitterrand dopo la caduta del Muro, una “Comunità politica europea” (in linea con la “Confederazione europea” propugnata da Enrico Letta), che consenta di preservare l’unità del continente, attorno a un insieme di valori e politiche comuni (in vista di una possibile piena adesione futura), senza perdere la spinta a una integrazione “federale” dell’Ue.

Tanti cantieri aperti o da aprire, in un quadro internazionale segnato da un’angosciosa incertezza. Su tutte, spicca la proposta – avanzata dal Parlamento europeo e sostenuta da Draghi e Macron – di una Convenzione per la revisione dei Trattati, che affronti i nodi istituzionali decisivi, a partire dalla già citata abolizione del potere di veto. Sappiamo quanto si rischino divisioni e delusioni su questa via, e sono già emerse resistenze, anche per il timore che il processo di riforma possa distogliere da scelte ritenute più urgenti. Ma le sfide che abbiamo di fronte impongono a quelli che lavorano per un federalismo “pragmatico e ideale” di salpare e provare ad affrontare (anche) il mare insidioso della riforma costituzionale.

*Flavio Brugnoli è Direttore del Centro Studi sul  Federalismo

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