Alberto Majocchi
Commento n. 285 - 6 febbraio 2024
In occasione del Vertice Italia-Africa che si è tenuto a Roma il 28 e 29 gennaio scorsi, alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni europee e di 46 Stati africani, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha illustrato gli elementi di fondo del “Piano Mattei per l’Africa”, elaborato – anche se non ancora definito in termini precisi – dal governo italiano e focalizzato su cinque settori strategici – istruzione e formazione, sanità, agricoltura, acqua ed energia. Si tratta soprattutto di progetti di sviluppo socio-economico e industriale, prevalentemente nell’ambito dei settori delle energie tradizionali e rinnovabili. Le risorse finanziarie su cui il Piano potrà contare sono stimate pari a 5,5 miliardi di euro (in parte già stanziate per progetti in corso), che potrebbero crescere con il supporto di istituzioni finanziarie internazionali e di un nuovo strumento per agevolare, con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti, gli investimenti del settore privato. Il Piano ha inoltre un significato politico nei confronti dell’Unione europea: la rivendicazione del ruolo e della posizione geo-strategica dell’Italia nel Mediterraneo.
Questo Piano, spesso richiamato dalla Premier, ma i cui contorni restano ancora sfumati, prende il nome da Enrico Mattei, nel 1953 fondatore dell’ENI, che ha giocato un ruolo rilevante per spezzare il monopolio delle cosiddette Sette Sorelle, le grandi imprese anglo-americane che dominarono il mercato petrolifero mondiale dagli anni Quaranta sino alla crisi del 1973. E il riferimento al suo nome è giustificato dal fatto che questo Piano si propone anche di rilanciare i rapporti dell’ENI con i produttori di energia nel continente africano, nel quadro di una politica di sostegno ad altri settori strategici, al fine di avviare una cooperazione destinata a promuovere uno sviluppo sostenibile di queste aree. Ma occorre sottolineare che le dimensioni delle risorse impegnate mettono in evidenza che un Piano di questa natura può essere gestito soltanto a livello europeo e con risorse adeguate, che l’Europa potrebbe agevolmente finanziare adottando lo strumento utilizzato per Next Generation EU, ossia emettendo titoli sui mercati finanziari internazionali. Se rimane un piano nazionale appare velleitario e non altezza della gravità dei problemi che il continente africano deve affrontare.
Nel suo intervento al Vertice di Roma il Presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat ha innanzitutto rilevato che il Piano Mattei è partito con il piede sbagliato in quanto, prima della sua presentazione, “[avrebbero] voluto essere consultati”. Il presupposto di una effettiva cooperazione è in effetti il rispetto reciproco e la pari dignità dei due partner. Faki inoltre ricorda correttamente che “vi sono molti ostacoli alla realizzazione di un piano di sviluppo del Continente: il pesante onere del debito, gli effetti dei cambiamenti climatici, la diffusione di forme di estremismo violento e del terrorismo, l’instabilità politica e istituzionale, la mancanza di finanziamenti adeguati e le gravi carenze di governance”. Non si tratta quindi soltanto di mettere a disposizione risorse finanziarie, ma è necessario sostenere politicamente gli sforzi dell’Unione africana per superare questi ostacoli.
Faki ha infine sottolineato con forza che “l’Africa non tende le sue mani ai partner come un mendicante, chiedendo soltanto e non offrendo nulla”. E, in realtà, le prospettive del continente africano sono notevolmente migliorate, pur in un contesto di situazioni critiche che permangono. Dal punto di vista dello sviluppo istituzionale, 54 Stati hanno sottoscritto l’Accordo per un’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) che, a partire da aprile 2023, è entrato in vigore per 46 Stati membri dell’Unione africana. L’obiettivo del Trattato è di far uscire da condizioni di povertà estrema 30 milioni di persone, grazie a un aumento del reddito prodotto in Africa pari a 450 miliardi di dollari entro il 2035, con una crescita del Pil del 7%. Ma anche le previsioni sulla crescita economica in termini congiunturali sono abbastanza positive.
Nel World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, del gennaio 2024, il tasso di crescita per i paesi dell’Africa sub-sahariana è stimato in crescita dal 3,3% del 2023 al 3,8% nel 2024 e al 4,1% nel 2025: gli effetti negativi dei recenti shocks meteorologici si stanno riducendo, mentre i problemi legati allo sviluppo della struttura produttiva tendono a essere gradualmente superati. Il Regional Economic Outlook for Sub-Saharan Africa, pubblicato del FMI nell’ottobre 2023, è significativamente intitolato “Light on the Horizon?”, mentre in Africa: Special Issue. In Pursuit of Stronger Growth and Resilience, sempre dell’ottobre 2023, si mette in evidenza come vi siano segnali consistenti che le prospettive di sviluppo in molti paesi africani stanno migliorando: “L’inflazione si sta generalmente allentando, l’attività economica sta iniziando a crescere e gli squilibri di bilancio stanno gradualmente diminuendo. Tuttavia, rimangono sfide significative. Per troppi paesi, l’inflazione è ancora troppo alta, le vulnerabilità del debito rimangono elevate e i tassi di crescita a medio termine sono troppo bassi. Episodi recenti di instabilità politica sottolineano anche la fragilità di molti Stati vittime di gravi conflitti. La comunità internazionale dovrebbe quindi mantenere e rafforzare un approccio cooperativo alla fornitura di beni pubblici globali. Nel caso dell’Africa, è inoltre essenziale sostenere gli Stati più vulnerabili, colpiti da crisi legate al clima e da conflitti in atto nella regione” (traduzione nostra dell’Abstract).
In questa prospettiva appare di grande evidenza il ruolo che può giocare l’Unione europea. Il modello di un Piano Marshall con l’Africa era stato proposto da Altiero Spinelli già nel suo PCI che fare? del 1978 (Einaudi), in cui rilevava che “i paesi in via di sviluppo sono un’enorme riserva di domanda potenziale verso le economia dei paesi sviluppati, che può essere progressivamente convertita in domanda reale […] I nostri paesi avanzati dovranno attraversare un periodo di austerità, cioè di accrescimento solo lieve dei loro consumi, affinché sia possibile destinare per molti anni una frazione non indifferente del reddito risparmiato ad investimenti in piani di sviluppo di paesi del Sud del mondo. […] Un tale piano ha come precedente storico il Piano Marshall”.
Viene qui sottolineato un punto di importanza fondamentale. Una politica di sostegno allo sviluppo economico del continente africano è anche nell’interesse dei paesi europei, in quanto genera una domanda addizionale per i prodotti dell’Unione europea, e non è destinata soltanto a garantire la fornitura di energie rinnovabili e di terre rare che sono necessarie per la transizione verso la neutralità carbonio nel 2050. Questo interesse reciproco deve tradursi, in termini politici, in una partnership che abbia quali protagoniste, con pari dignità, l’Unione europea e l’Unione africana, lungo le linee che sono state approfondite sotto i diversi aspetti economici e istituzionali in un volume collettaneo (Africa and Europe: A Shared Future) pubblicato nel 2020 da parte del Centro Studi sul Federalismo.
*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo