Lo stato dell’Unione 2022: difendere e rilanciare la democrazia europea

Lo stato dell’Unione 2022: difendere e rilanciare la democrazia europea

Flavio Brugnoli

Commento n. 250 - 15 settembre 2022 

La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha tenuto ieri, davanti al Parlamento europeo a Strasburgo, il suo terzo “Discorso sullo stato dell’Unione”. Quando si presentò davanti alla stessa Assemblea, il 16 luglio 2019, quale candidata alla presidenza della Commissione, non poteva immaginare quanto sarebbero stati drammatici gli anni che attendevano tutti noi europei, dall’esplosione di una pandemia globale fino all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Come ha sottolineato von der Leyen, “mai prima d’ora questo Parlamento si è trovato a discutere lo stato della nostra Unione mentre sul suolo europeo infuriava la guerra”. La presenza, quale ospite d’onore, di Olena Zelenska, moglie del Presidente dell’Ucraina, è stato un segnale importante e inequivocabile sulla linea che intende mantenere l’Unione europea (Ue).

La guerra scatenata da Putin sta già cambiando l’Europa. Non ci si può cullare nella illusione che sia una sorta di incresciosa parentesi, simmetrica alla miopia con cui si è guardato al regime di Putin persino dopo l’invasione della Crimea nel 2014 e malgrado il suo sostegno a movimenti nazionalisti antieuropei. Ma all’invasione del 24 febbraio scorso l’Ue e gli Stati membri hanno saputo reagire con compattezza: invio di armi al paese invaso, 19 miliardi di euro di assistenza finanziaria, accoglienza di milioni di rifugiati ucraini, sanzioni senza precedenti (e destinate a restare) al regime russo. Von der Leyen è andata al cuore della questione: “È una guerra contro la nostra energia, la nostra economia, i nostri valori e il nostro futuro. È uno scontro tra l'autocrazia e la democrazia”. Con una salutare autocritica: “uno degli insegnamenti che abbiamo tratto da questa guerra è che avremmo dovuto dare ascolto a chi conosce Putin”.

A questa guerra l’Ue deve rispondere con una strategia su più fronti. Una volta di più, va dato atto alla Commissione von der Leyen di avere intercettato, nelle sue priorità 2019-2024, tre fondamentali processi “trasformativi”. La transizione ecologica guida le risposte alla crisi climatica ed energetica; di fronte all’emergenza attuale dobbiamo “non cercare solo una soluzione rapida ma un nuovo paradigma, un salto nel futuro”. La transizione digitale evidenzia debolezze strutturali delle politiche industriali europee, su cui la Commissione si è mossa con decisione, dai semiconduttori, alle batterie, all’impegno annunciato da von der Leyen sulle materie prime critiche (su cui si rischia una nuova dipendenza, dalla Cina). La volontà di essere una Commissione “geopolitica” (termine inflazionato, in tempi turbolenti) denotava consapevolezza che ad essere in gioco fosse il ruolo dell’Ue nel mondo. Il filo conduttore che tiene insieme questi pilastri è quello della “autonomia strategica”, della capacità dell’Unione di essere padrona del proprio destino.

Ma contrastare il potere di ricatto della Russia sui combustibili fossili oggi richiede anche di rispondere alle preoccupazioni di famiglie e imprese in Europa sulla “bolletta energetica”. La Presidente von der Leyen ha indicato una pluralità di iniziative, dall’accordo in vigore sullo stoccaggio in comune, alla diversificazione degli approvvigionamenti (in un anno la quota del gas russo nell’import europeo è scesa dal 40% al 9%), alle misure di contenimento del consumo di energia elettrica, al massimale alle entrare per le imprese produttrici di energia elettrica a basso costo, dai cui extraprofitti si potrebbero ricavare “oltre 140 miliardi di euro” che gli Stati membri potranno usare per mitigare i costi della crisi, all’impegno per fare di quello dell’idrogeno un mercato di massa, con anche una Banca europea dell’idrogeno. La Commissione intende inoltre proporre una riforma complessiva del mercato dell’energia elettrica; rimane controversa la imposizione di un tetto al prezzo del gas, su cui per ora ci si limita a istituire una task force.

Sorprende che nel discorso della Presidente della Commissione sia invece assente, a fronte dell’aggressione russa all’Ucraina, qualsiasi riferimento alla necessità di ripensare contenuti e obiettivi di una difesa europea. Un processo che peraltro si era già messo in moto, grazie anche alle scelte erratiche dell’Amministrazione Trump, ed era approdato alla “Bussola strategica per la sicurezza e la difesa”, approvata dagli Stati membri poche settimane dopo l’invasione russa. Il cuore della questione è oggi il peso che il pilastro della difesa europea dovrà avere dentro la NATO, il cui ruolo rimane centrale – era evidente ieri alle nuove democrazie dell’Europa centro-orientale, lo è oggi per paesi storicamente neutrali come Finlandia e Svezia. Ma a medio termine la priorità per gli Stati Uniti rimarrà il confronto sistemico con la Cina, per cui anche nel campo della difesa gli europei dovranno imparare a badare a sé stessi. Utili spunti in questa direzione sono venuti, da ultimo, dal Cancelliere Olaf Scholz, nel suo discorso all’Università di Praga.

Se allarghiamo lo sguardo al “ruolo dell’Ue nel mondo”, ieri von del Leyen ha mostrato di essere consapevole sia di come le democrazie siano chiamate a serrare le file di fronte alle minacce dei regimi autoritari sia di come sia necessario tenere aperti rapporti in più direzioni. Nel nuovo disordine mondiale, non possiamo sottovalutare i rischi di un assetto che vedesse “l’Occidente contro tutti” (The West and the Rest), in uno scenario in cui a parole si predica il multilateralismo e nei fatti si oscilla fra politica di potenza e impotenza. Nondimeno, l’Ue intende continuare a giocare un ruolo internazionale attivo, in particolare nella lotta ai cambiamenti climatici e per la biodiversità, con politiche commerciali “con partner che condividono i nostri principi” (dagli accordi con Cile, Messico e Nuova Zelanda a quelli in corso di negoziazione con Australia e India), con gli investimenti previsti dal Global Gateway e con un rinnovato impegno sui vaccini, in particolare a beneficio di Africa e America Latina.

Ma per contare nel mondo è indispensabile difendere la nostra democrazia e lo Stato di diritto, sia dalla corruzione interna sia dalle “menzogne tossiche” esterne. È quindi benvenuto l’annuncio di von der Leyen che la Commissione presenterà un “pacchetto per la difesa della democrazia”. Allo stesso tempo, si ripropone la necessità di coniugare allargamento e approfondimento dell’Unione. La Commissione fa proprio il progetto macroniano di una “Comunità politica europea” (rivolta a Balcani occidentali, Ucraina, Moldova, Georgia) e tiene aperta la via della riforma dei Trattati, nella chiave lungimirante della “solidarietà tra generazioni”, sostenendo la proposta del Parlamento europeo di una Convenzione europea, chiesta anche dalla Conferenza sul futuro dell’Europa. Ma poiché senza risorse ogni programma rimane velleitario, von der Leyen rilancia il ruolo di NextGenerationEU (NGEU) e pone i primi tasselli per una riforma della governance economica europea, che tenga (davvero) insieme stabilità e crescita, dando agli Stati membri più flessibilità nel percorso di riduzione del debito, più responsabilità nell'attuare quanto concordato, a fronte di norme più semplici, e più margine per i necessari investimenti strategici.

La prova elettorale è un momento fondamentale per le democrazie, un passaggio chiave per mostrarne la superiorità sui regimi autocratici. In un contesto segnato da una guerra destinata a durare, le nostre responsabilità sono ancor maggiori, a fronte di un processo d’integrazione europea che è indispensabile completare. L’Italia ne è stata spesso protagonista, oggi ne beneficia più di chiunque altro attraverso NGEU e il PNRR: sarebbe molto grave passare da motore a zavorra dell’Unione. Intanto all’orizzonte si intravedono già le elezioni europee del 2024, in cui tutta l’Europa democratica sarà chiamata a fare il punto su questi anni drammatici e a decidere, ancora una volta, di un pezzo decisivo del proprio futuro.

*Flavio Brugnoli è Direttore del Centro Studi sul  Federalismo

Download pdf


Centro Studi Federalismo

© 2001 - 2024 - Centro Studi sul Federalismo - Codice Fiscale 94067130016

Fondazione Compagnia San Paolo
Le attività del Centro Studi sul Federalismo sono realizzate con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo
Fondazione Collegio Carlo Alberto
Si ringrazia la Fondazione Collegio Carlo Alberto