Stato dell’Unione 2021: le nuove sfide nel mondo che cambia

Flavio Brugnoli
Commento n. 229 - 16 settembre 2021 

Il “discorso sullo stato dell’Unione” del(la) Presidente della Commissione è diventato un appuntamento imprescindibile per definire le strategie e l’agenda europee. Ieri Ursula von der Leyen ha tenuto, davanti al Parlamento europeo a Strasburgo, il suo secondo discorso sullo stato dell’Unione: un bilancio del molto che è stato fatto – anticipato con un corposo documento sui risultati 2020-2021 – e un panorama sul molto che occorre e che ci si propone di fare. Come spesso accade, è la dura realtà dei fatti che si prende la scena: era stato così nel 2020 con l’esplodere della pandemia da coronavirus, è così oggi con le conseguenze del disastro politico e militare in Afghanistan. Ancora una volta l’Unione è chiamata a compiere passi concreti per poter essere sia più forte e coesa al proprio interno sia un soggetto attivo e propositivo nel nuovo (dis)ordine internazionale.

La pandemia ha cambiato nel profondo le nostre vite ed è ancora lontana dall’essere sconfitta. Come ha detto von der Leyen, “una pandemia è una maratona, non una gara di velocità”. Anche in risposta a critiche frettolose e superficiali, la Presidente ha sottolineato quanto sia stato importante che sui vaccini – l’arma fondamentale contro il coronavirus – si sia agito con una strategia europea unitaria e su più fronti, dall’acquisto di una imponente quantità di dosi, al sostegno alla ricerca, allo sviluppo di un’adeguata capacità produttiva, alla introduzione del certificato digitale dell’Ue. E tutto questo senza miopi chiusure nei confronti dell’esterno, tanto che ad oggi sono state consegnate “più di 700 milioni di dosi agli europei e più di 700 milioni di dosi al resto del mondo, in più di 130 paesi”. Un impegno globale che dovrà continuare, in un mondo in cui – ha ricordato von der Leyen – “meno dell'1% delle dosi è stato somministrato nei paesi a basso reddito”.

Ma altre dure “maratone”, ovvero altri rischi pandemici potrebbero attenderci in futuro, per cui è indispensabile, come ha sottolineato la Presidente, varare per tempo una “missione di preparazione e resilienza sanitaria a livello di Ue”. Va quindi data sostanza al progetto di “Unione europea della salute”, sul quale la Commissione aveva già presentato una prima proposta nel novembre scorso. Si tratta di un ambito in cui, com’è noto, le competenze europee sono ancora limitate, complementari a quelle degli Stati membri. Ma abbiamo toccato con mano e a caro prezzo quanto siano ridicoli questi confini nazionali di fronte a una pandemia, e quanto siano necessarie sinergie e risorse su scala (almeno) europea per poter sviluppare competenze adeguate e ricerche innovative ed efficaci.

La Commissione e la sua Presidente possono guardare con soddisfazione ai tempi e ai modi con cui l’Ue ha risposto alla drammatica crisi economica innescata dalla pandemia. E il disegno d’insieme premia la lungimiranza della Commissione, dalla scelta strategica iniziale di puntare sulla doppia transizione, verde e digitale – con una forte attenzione anche ai diritti sociali –, al successivo varo di strumenti come SURE e NextGenerationEU (NGEU). Un bilancio positivo testimoniato dai tempi accelerati di ritorno ai livelli di crescita pre-pandemia, con tuttavia la consapevolezza che si sono poste le basi per un diverso tipo di crescita, trainato dallo European Green Deal. Di pari passo, si dovrà lavorare sia alla riforma della governance economica europea, su cui la Commissione (con le elezioni in Germania alle porte) per ora si limita a voler “riavviare il dibattito”, sia a un rafforzamento dell’equità fiscale, inclusa la messa in atto dello storico accordo sulla global minimum tax (non gradito a tutti gli Stati membri dell’Ue).

La pandemia ha cambiato anche il modo con cui guardiamo a una economia basata su “catene di valore” globali e ha alimentato il dibattito su una effettiva “autonomia strategica” dell’Ue. Un caso esemplare di questa nuova realtà – e delle falle nella “sovranità tecnologica europea” – l’ha fornito la stessa von der Leyen: la scarsità mondiale di semiconduttori sta mettendo in difficoltà interi settori industriali europei, che si trovano a dipendere dai produttori asiatici. Per questo è necessario creare un “ecosistema europeo dei chip” e la Commissione al riguardo presenterà una “legge europea sui semiconduttori”. Ritardi che certo non si colmano in pochi mesi, ma la portata e l’ambizione della sfida è testimoniata dal riferimento da parte di von der Leyen al successo della rete satellitare europea “Galileo”, quale modello cui ispirarsi.

Un altro filo trasversale nel discorso di ieri della Presidente von der Leyen riguarda la qualità della vita degli europei. Tiene insieme, oltre al già citato capitolo della sanità, il rafforzamento del pilastro europeo dei diritti sociali, il rispetto dei diritti e delle scelte di vita delle persone, la lotta contro la violenza sulle donne, la difesa dello Stato di diritto (e del ruolo della Corte di Giustizia), il diritto all’informazione e la difesa della libertà dei media. Ma il futuro dell’Unione è legato anzitutto a quello delle nuove generazioni, e saranno soprattutto loro a beneficiare di progetti trasformativi quali il Green Deal europeo e NGEU. La Commissione propone quindi che il 2022 sia l’“anno europeo dei giovani”. Giovani che sono invitati anche a contribuire alla Conferenza sul futuro dell’Europa – ad oggi ben al di sotto delle aspettative che ha creato –, mentre la Commissione assicura che “sarà pronta a dare seguito immediato alle decisioni prese dalla Conferenza”.

A livello mondiale, la Commissione von der Leyen, che alla nascita aveva tenuto a sottolineare la propria natura “geopolitica”, è consapevole che la nuova era sarà caratterizzata dalla “iper-competitività” fra aree continentali. L’Ue intende muoversi con un approccio cooperativo, dalla lotta ai cambiamenti climatici (a partire dalle scelte alla ormai prossima COP26 di Glasgow – a co-presidenza italiana), alla definizione di una nuova “agenda globale” con gli Stati Uniti e di una strategia verso l’area indo-pacifica, con un innovativo modello di connessione denominato Global Gateway (di cui attendiamo di sapere di più). Un ruolo molto importante avrà il rapporto Ue-Africa (il vertice bilaterale si terrà nel febbraio 2022), con von der Leyen che ha prospettato anche la creazione di un “mercato dell’idrogeno verde” fra le due sponde continentali.

Ma il capitolo su cui la Presidente era più attesa era quello della sicurezza e difesa, dopo il tracollo occidentale in Afghanistan e le discussioni che ha riacceso nell’Unione. La strategia europea dovrà poggiare da un lato su un rinnovato partenariato Ue-NATO, dall’altro su un’Europa capace di agire in autonomia dove e quando necessario. Von der Leyen prospetta quale obiettivo una “Unione europea della difesa”, ipotizza “gruppi tattici o forze di intervento dell’Ue”, indica alcune scelte urgenti: dotarsi di un “Centro comune di conoscenze situazionali” a sostegno di un processo decisionale collettivo; migliorare l’interoperabilità attraverso piattaforme comuni europee; definire una politica europea della ciberdifesa e una “legge europea sulla ciberresilienza”. Le minacce che dobbiamo fronteggiare saranno al centro della “bussola strategica” europea, in corso di definizione, e del vertice sulla difesa europea che sarà convocato da von der Leyen e Macron, durante il semestre di presidenza francese del Consiglio.

Siamo in una fase delicata di transizione, non solo sul fronte della pandemia. Gli ineludibili passaggi epocali che abbiamo davanti, dal Green Deal al nucleo di difesa europea, comportano anche costi economici e sociali e pongono dilemmi geo-strategici, che richiederanno lungimiranza e volontà politica – con il governo italiano guidato da Mario Draghi che può giocare un ruolo da protagonista. In questa Unione “straordinaria nella sua unicità e unica nella sua straordinarietà” bene ha fatto, quindi, la Presidente von der Leyen a invitare una indomita campionessa come Bebe Vio e a chiudere ricordando a tutti il suo motto: “se sembra impossibile, allora si può fare”.

*Direttore del Centro Studi sul Federalismo

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