Un’imposta globale sul patrimonio dei super-ricchi

Un’imposta globale sul patrimonio dei super-ricchi

Alberto Majocchi

Commento n. 295 - 6 maggio 2024

Nel periodo post-bellico si sono realizzati a livello globale notevoli miglioramenti nella distribuzione del reddito, ma negli ultimi due decenni la disuguaglianza – al netto del prelievo e dei trasferimenti – è aumentata quasi costantemente. E questo fenomeno riflette in larga misura il fatto che la politica fiscale è diventata meno redistributiva, in quanto il livello di progressività dell’imposta sul reddito si è notevolmente ridotto.

Un ulteriore fattore che incide notevolmente sulla diseguaglianza è la distribuzione della proprietà. Nel suo libro, del 2021, Une brève histoire de l’égalité Thomas Piketty mostra come in Europa nel 1913 il 40% della popolazione compreso fra il 10% più ricco e il 50% più povero possedesse circa il 10% del totale delle proprietà, mentre nel 2020 la quota era cresciuta al 40%, specie sotto forma di beni immobili. La redistribuzione della proprietà è avvenuta quindi sostanzialmente a favore della classe media, ma il 50% più povero continua a possedere nel 2020 soltanto il 5% del totale, mentre il 10% più ricco arriva al 55%.

Secondo i dati raccolti da Gabriel Zucman in Global Wealth Inequality, la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza negli Stati Uniti è aumentata drammaticamente dal 1980, con una quota detenuta dall’1% in testa alla scala della distribuzione del reddito pari a circa il 40% nel 2016, contro il 25-30% nel 1980. Un’analoga evoluzione si è manifestata in tutto il mondo, con un aumento della concentrazione dei patrimoni: per la Cina, l’Europa e gli Stati Uniti messi insieme, la quota di ricchezza dell’1% più ricco è aumentata dal 28% nel 1980 al 33% oggi, mentre la quota del 75% inferiore si aggira intorno al 10%.

L’accumulazione di un grande patrimonio è il frutto di capacità e di impegno personale, ma è resa altresì possibile dall’ambiente sociale e dalla disponibilità di beni pubblici. L’introduzione di una imposizione patrimoniale progressiva dovrebbe comunque garantire che, una volta detratta la somma pagata ai fini dell’imposta sul patrimonio e sulle successioni – che contribuisce a finanziare la produzione dei beni pubblici necessari per garantire l’efficacia degli sforzi individuali –, rimanga una disponibilità residua per la remunerazione dell’attività e dell’impegno che hanno portato all’accumulazione del patrimonio. E questa disponibilità residua potrà essere trasmessa, sulla base di scelte individuali, ai propri eredi, destinata a fini di utilità sociale o a sostenere attività di interesse collettivo. L’introduzione di un’imposizione patrimoniale contribuirebbe quindi a rafforzare la coesione sociale e, al contempo, le potenzialità di crescita in una società con minori diseguaglianze.

In Europa, mentre crescono le esigenze di spesa per sostenere la “doppia transizione” ecologica e digitale e le misure necessarie per garantire la difesa del continente e la sicurezza degli europei, la difficoltà di aumentare il prelievo su chi le tasse le paga è sempre più stringente, mentre i super-ricchi riescono a pagare imposte in misura praticamente inesistente. Secondo il Global Tax Evasion Report 2024, preparato dall’EU Tax Observatory, vi sono molte possibilità per i super-ricchi di evitare le diverse forme di imposizione sul reddito, con conseguenti aliquote fiscali effettive pari solo allo 0%-0,5% della loro ricchezza totale. Nel frattempo, le imposte sul reddito a carico dei cittadini più ricchi che non utilizzano queste scappatoie arrivano a un livello compreso fra il 20% e il 50%.

Questa situazione è politicamente sempre più insostenibile, anche se qualche passo in avanti è stato realizzato con la creazione di una nuova forma di cooperazione internazionale – uno scambio automatico e multilaterale di informazioni bancarie in vigore dal 2017 e applicato da più di 100 paesi nel 2023 – e con uno storico accordo internazionale per un’imposta minima globale per le società multinazionali approvato da oltre 140 paesi e territori nel 2021.

Per superare questa situazione, in un recente incontro dei Ministri finanziari dei paesi del G20 è stata avanzata da quattro paesi – Germania, Spagna, Brasile e Sud Africa – la proposta di introdurre un’imposta patrimoniale con aliquota del 2% sui circa 3.000 miliardari che esistono a livello globale. Il Global Tax Evasion Report 2024 stima che una tassa minima a livello globale sui miliardari, con un’aliquota del 2%, genererebbe circa 250 miliardi di dollari all’anno di entrate fiscali, che consentirebbero di ridurre – almeno parzialmente – le disuguaglianze e, al contempo, di raccogliere i fondi pubblici ancor più necessari dopo gli shock economici della pandemia, la crisi climatica e i conflitti militari in Europa e in Medio Oriente.

Nello stesso Rapporto si stima che i 499 miliardari europei godano di una ricchezza complessiva dell’ordine di 2.260 miliardi di euro, con una ricchezza media individuale pari a 4,5 miliardi di euro. Una tassa patrimoniale del 2% genererebbe quindi un gettito di 45,3 miliardi. Dopo aver sottratto l’importo delle imposte personali che i super-ricchi attualmente pagano (stimato pari a circa €5,6 miliardi), il gettito addizionale dell’imposta del 2% sul patrimonio risulterebbe pari a circa 40 miliardi, con un’incidenza su ciascun contribuente dell’ordine di 80 milioni.

Come indicato dai quattro ministri (due di Stati membri dell’Ue, due di Paesi dei BRICS) che hanno firmato la proposta: “Naturalmente, l’argomento che i miliardari possono facilmente spostare le loro fortune in giurisdizioni a basso prelievo fiscale, ed evitare quindi la nuova forma di imposizione, è forte. Ed è per questo che una riforma fiscale di questo tipo deve rientrare nell’agenda del G20. La cooperazione internazionale e gli accordi globali sono fondamentali per rendere efficace questa forma di tassazione. Quello che la comunità internazionale è riuscita a fare con la tassa minima globale sulle multinazionali, può farlo con i miliardari”.

Una tassa minima sui ricchi non risolverebbe certamente tutti i problemi di equità fiscale. È solo una parte – ma una parte importante – di un sistema fiscale ideale, insieme a un’imposta sul reddito con una elevata progressività e a una tassa di successione ugualmente progressiva. In definitiva, la produzione di beni pubblici dovrà essere finanziata in misura maggiore – oltre che dalla tassazione indiretta sui consumi opulenti nelle società avanzate e sull’utilizzo eccessivo e dannoso di risorse naturali – attraverso un’imposizione sulla ricchezza, grazie appunto a una tassazione del patrimonio e a una significativa imposta di successione, per favorire una graduale riduzione delle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi, che rendono sempre più precaria la coesione sociale nelle nostre comunità.

*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo

Download PDF - Commento n. 295

Centro Studi Federalismo

© 2001 - 2024 - Centro Studi sul Federalismo - Codice Fiscale 94067130016

Fondazione Compagnia San Paolo
Le attività del Centro Studi sul Federalismo sono realizzate con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo
Fondazione Collegio Carlo Alberto
Si ringrazia la Fondazione Collegio Carlo Alberto