Alberto Majocchi
Commento n. 284 - 22 gennaio 2024
Nella riunione del Consiglio Ecofin del 20 dicembre 2023 è stata approvata una Proposta di Regolamento che prevede una revisione sostanziale del Patto di Stabilità e Crescita. L’avvicinarsi della scadenza del 1° gennaio 2024, quando sarebbero rientrate in vigore le vecchie regole del Patto, la cui validità era stata temporaneamente sospesa dal Consiglio il 23 marzo 2020, ha spinto i paesi dell’Unione europea a uno sforzo per raggiungere un accordo. Il processo ha avuto inizio con una Comunicazione della Commissione del 26 aprile 2023 per una revisione del sistema di governance economica dell’Unione. In questa proposta, le regole del 3% quanto al rapporto deficit/Pil e del 60% per lo stock di debito non vengono modificate, anche se viene abbandonata l’ipotesi prevista dal Fiscal Compact di una riduzione annuale del rapporto debito/Pil pari a 1/20 della differenza fra il livello dello stock di debito di un paese e l’obiettivo del 60%.
Nel nuovo testo approvato da Ecofin, che riprende in larga misura la proposta della Commissione, viene ipotizzato il passaggio a un meccanismo di sorveglianza della situazione finanziaria degli Stati membri basato su un’analisi di sostenibilità del debito, che differenzia tra i diversi paesi – abbandonando così il principio one size fits all –, tenendo conto della gravità dei problemi che ciascun paese deve affrontare in tema di riduzione dello stock di debito. In questo modo gli Stati membri avranno maggiore margine di manovra nella definizione della loro traiettoria di aggiustamento fiscale, che dovrà essere comunque approvata dal Consiglio sulla base di una raccomandazione da parte della Commissione e avrà una durata di quattro anni, potenzialmente estendibili a sette, se lo Stato membro ritiene di voler inserire anche progetti di riforma e di investimenti capaci di favorire nel lungo periodo una riduzione graduale del debito.
Nel piano verrà utilizzato un singolo indicatore, ponendo un tetto all’evoluzione della spesa primaria netta, ossia della spesa al netto delle misure discrezionali, degli aggiustamenti congiunturali e degli interessi sul debito, semplificando così in modo significativo il quadro di riferimento. La traiettoria di riaggiustamento dovrà garantire che il rapporto tra debito pubblico e Pil previsto diminuisca di un importo medio annuo minimo di un punto percentuale, se il rapporto supera il 90%, e di 0,5 punti percentuali se il rapporto è compreso tra il 60% e il 90%. Ma nella proposta è altresì prevista una clausola di salvaguardia generale, in base alla quale il Consiglio può consentire agli Stati membri di discostarsi dal percorso di aggiustamento adottato in caso di grave recessione economica nell'area dell'euro o nell'intera Unione, e una clausola di salvaguardia nazionale qualora circostanze eccezionali al di fuori del controllo dello Stato membro comportino un impatto rilevante sulla finanza pubblica dello Stato membro interessato. Si riducono in questo modo i rischi di effetti pro-ciclici della politica di aggiustamento.
L’obbligo di ridurre il disavanzo nominale, qualora superi il 3% del Pil, con un miglioramento strutturale annuo dello 0,5%, verrà mantenuto per i paesi soggetti a una procedura per disavanzo eccessivo. Tuttavia, grazie all’impegno del governo francese, viene previsto un temporaneo ammorbidimento di questo obbligo per gli anni 2025-2027, consentendo alla Commissione di dedurre la crescita nel pagamento di interessi dallo 0,5% di miglioramento strutturale, in modo tale da ridurre il consolidamento fiscale annuale richiesto al paese in disavanzo eccessivo.
Il Consiglio Ecofin ha concordato, sotto la spinta di una forte pressione del governo tedesco, una nuova clausola di salvaguardia di resilienza del disavanzo, che richiede ai paesi di continuare l'aggiustamento fiscale fino a raggiungere un margine di resilienza pari all'1,5% del Pil, al di sotto del valore di riferimento del 3%. L'idea di richiedere un margine di sicurezza appare corretta per garantire uno spazio di manovra per politiche fiscali espansive nel caso di una caduta della domanda. Ma il miglioramento annuo del saldo strutturale primario per conseguire il margine richiesto è abbastanza severo (normalmente pari a 0,4% di Pil all'anno) e può rivelarsi difficile da conseguire per alcuni paesi (Jeromin Zettelmeyer ipotizza che, nel caso dell'Italia, nel lungo periodo il saldo primario strutturale debba mantenersi ad un livello superiore al 4% del Pil).
Su questa proposta di riforma del PSC approvata in Ecofin si è manifestato, in linea generale, un accordo da parte del Parlamento europeo che, nella sessione del 17 gennaio 2024, ha approvato a larga maggioranza il proprio mandato negoziale sulla revisione del Patto di stabilità, ponendo in particolare l’accento sull’opportunità di estendere per un periodo ulteriore di dieci anni il processo per completare la riduzione del debito eccessivo.
La soluzione adottata da Ecofin appare in linea di principio efficace e coerente con l’impostazione di politica fiscale assunta a partire da Maastricht in poi, che prevede l’adozione di regole definite ex ante per evitare che un peggioramento della situazione di bilancio in uno Stato membro possa incidere negativamente sugli altri paesi dell’Unione monetaria. Un obiettivo più ambizioso sarebbe quello di fare a meno di regole fiscali e di sostituire i vincoli di bilancio con standards qualitativi, liberando così la legislazione europea di tutti i rigidi criteri numerici che si sono accumulati nel tempo e sostituendoli con il solo principio che gli Stati membri devono garantire la sostenibilità del loro debito.
In una proposta avanzata da Olivier Blanchard, Álvaro Leandro e Jeromin Zettelmeyer si prende atto dell'attuale regola fiscale stabilita nei Trattati UE, in base alla quale “gli Stati membri devono evitare deficit pubblici eccessivi” (art. 126 del Tfue). Questo principio potrebbe rappresentare il punto di riferimento per la fissazione di standard relativi alla situazione finanziaria degli Stati membri, consentendo all'Unione europea di limitare in modo significativo le politiche fiscali degli Stati membri quando necessario, esaminando ogni singolo caso e tenendo conto delle specificità del paese. Si arriverebbe così a un giudizio sulla necessità di adeguare la politica fiscale qualora i deficit vengano considerati eccessivi dato che, con elevata probabilità, il debito non sarebbe sostenibile sulla base delle politiche adottate.
Questa proposta – che riflette la visione di un politica fiscale caratterizzata non soltanto da regole, ma altresì da una capacità di governo da parte dell’Unione che consenta di adottare misure discrezionali ai fini di garantire la stabilità finanziaria all’interno dell’Unione monetaria – appare destinata a trovare spazio soltanto in una fase più evoluta della struttura della politica fiscale all’interno dell’Unione europea, in quanto presuppone il superamento del principio, recepito nel Trattato di Maastricht, in base al quale la politica fiscale rimane una competenza degli Stati membri. Questo tema è ormai sul tavolo del dibattito politico e culturale e si accompagna alla richiesta di un aumento delle risorse proprie, anche tenendo conto della necessità di accrescere le dimensioni del bilancio europeo per far fronte alla produzione di beni pubblici indispensabili nel quadro della transizione ecologica e digitale e per garantire – tenuto conto dei conflitti in atto e dell’aggravamento degli squilibri a livello internazionale – condizioni di sicurezza e un ruolo accresciuto dell’Unione in vista del raggiungimento della pace nelle aree di interesse strategico per l’Europa e di un rafforzamento delle istituzioni multilaterali a livello globale.
*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo