Delega sulla riforma fiscale, riduzione del prelievo e lotta all'evasione

Delega sulla riforma fiscale, riduzione del prelievo e lotta all'evasione

Alberto Majocchi
   

Commento n. 270 - 23 agosto 2023 

Il Disegno di legge sulla delega fiscale – approvato dalla Camera il 4 agosto 2023 – che detta i “Princìpi generali del diritto tributario nazionale”, al primo comma dell’art. 2 dispone che “nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 il Governo osserva i seguenti princìpi e criteri direttivi generali: a) fermi restando i princìpi della progressività e dell’equità del sistema tributario, stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale”. La riaffermazione del principio della progressività del sistema tributario, previsto dall’articolo 53 della Costituzione (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”) e dell’equità sono naturalmente di grande rilievo, anche se appare difficile immaginare in che modo si possano conciliare questi principi con l’ipotesi del passaggio – per quanto riguarda l’Irpef – inizialmente a tre aliquote, per arrivare alla fine a una aliquota unica (la c.d. flat tax).

L’idea che aumentare l’efficienza della struttura tributaria – certamente una riforma rilevante al fine di migliorare la produttività del sistema economico – possa stimolare la natalità appare in linea di principio corretta: fra i fattori che determinano la decisione di fare figli va considerato anche il trattamento fiscale, che rappresenta un elemento importante, ma non decisivo, se non accompagnato da altre misure, sia dal lato della spesa pubblica sia per quanto riguarda il livello dei salari o dei trasferimenti a favore dei ceti più poveri. Ma il punto più importante da sottolineare sembra la riproposizione dell’obiettivo della “riduzione del carico fiscale”, che appare a prima vista come un obiettivo del tutto pacifico e generalmente accettato, mentre in realtà è fondato su un presupposto non del tutto convincente.

La tesi di fondo, al di là delle formulazioni più retoriche e populiste, è che una riduzione del carico fiscale, e in particolare gli sgravi per le imprese e i contribuenti più ricchi, abbia effetti positivi sull’intero sistema economico, e non soltanto a favore di chi beneficia dello sgravio fiscale. Si tratta di una riproposizione della famosa “curva di Laffer che, da un punto di vista teorico, stava alla base della riforma fiscale di Ronald Reagan. Si ipotizza che la riduzione del prelievo faccia aumentare la produzione e, quindi, il gettito fiscale, con una sorta di effetto win-win o, comunque, di un doppio dividendo, destinato ad aumentare il benessere della collettività.

In tutti i paesi occidentali la progressività delle aliquote dell’imposta sul reddito si è fortemente attenuata negli ultimi decenni, e questa riduzione appare, nel periodo più recente, giustificata dalla nuova formulazione della teoria del trickle-down, in base alla quale si ipotizza che i benefici a favore dei ricchi “sgocciolino” progressivamente a vantaggio dell’intera collettività, in quanto vengono incentivati gli investimenti – grazie all’incremento della liquidità rimasta nelle mani dei contribuenti più agiati –, crescono produzione e occupazione e, a seguito del conseguente aumento del Pil, le entrate fiscali. Ma la curva ipotizzata da Arthur Laffer non è mai stata dimostrata in modo esaustivo e ha anzi messo in evidenza la sua totale inadeguatezza nelle situazioni concrete dei sistemi coinvolti in queste politiche di riduzioni fiscali, che non hanno beneficiato di effetti positivi sul Pil, mentre hanno dovuto affrontare enormi disavanzi nel bilancio pubblico.

Il favore generalizzato per una consistente riduzione del carico fiscale si fonda sull’assunzione a priori che le tasse rappresentino un “ingiusto” impoverimento di famiglie e imprese, prelevando loro una parte del reddito guadagnato, che in conseguenza non possono destinare alla soddisfazione delle loro necessità. Ma questa valutazione, anche se si fonda sul dato di fatto che il prelievo riduce il reddito disponibile per il contribuente, nasconde una parte importante della verità. Sul piano teorico, la formulazione più semplice, ma profondamente corretta, della funzione di un sistema impositivo si deve far risalire ad Antonio De Viti De Marco, laddove afferma che “l’imposta è il prezzo che ogni cittadino paga allo Stato per coprire la quota-parte di costo dei servizi pubblici generali che egli consumerà”. In sostanza, l’imposta è il prezzo dei beni pubblici che, grazie al gettito fiscale, possono essere prodotti e consumati da tutti, contribuendo a determinare la qualità della vita dei cittadini e a favorire la produzione dei beni privati.

Sul piano concreto, i beni pubblici sono indispensabili non soltanto per garantire il benessere generale, ma anche per sostenere la produzione dei beni finali e intermedi, in definitiva per favorire lo sviluppo di una determinata collettività. Si tratta, in primo luogo, delle infrastrutture, fisiche e immateriali, ma anche del livello di formazione della forza lavoro raggiunto attraverso la diffusione del sistema pubblico di istruzione; delle garanzie fornite dal sistema di welfare a partire dalla sanità, dalla tutela contro gli infortuni, dai sussidi di disoccupazione e dai trasferimenti a favore delle categorie più disagiate; della sicurezza interna assicurata dalle forze dell’ordine; della sicurezza esterna favorita da una politica estera efficace; della gestione della politica di stabilizzazione, che favorisce il controllo degli andamenti ciclici di un sistema economico.

Una riduzione del carico fiscale genera una contrazione della produzione di beni pubblici essenziali per lo sviluppo dell’economia e rappresenta quindi un fattore negativo per la crescita, se non viene compensata da un incremento della produttività indotto da una crescita degli investimenti – che, in assenza di un preesistente avanzo di bilancio, devono essere finanziati in disavanzo, con un aumento del debito. Questa contrazione non può essere compensata da un aumento della produzione di beni privati, dato che le caratteristiche proprie dei beni pubblici impediscono la formazione di un prezzo e, quindi, al mercato di provvedere alla sua fornitura. E la produzione deve essere gestita da un’autorità pubblica per evitare il fenomeno dei free riders – che godono del bene senza averne pagato il costo – e per fissarne il prezzo – ossia l’imposta – destinato a coprire il suo costo di produzione.

Una spinta alla riduzione del livello di imposizione è tuttavia legata in Italia all’ineguale distribuzione del carico fiscale, che incide in misura più elevata sulle categorie più deboli e sulle imprese regolari. L’evasione fiscale e la mancata lotta al lavoro nero provocano nell’opinione pubblica una forte reazione politica, che appare giustificata dal fatto che chi lavora e paga correttamente il suo debito fiscale non viene premiato, ma appare sacrificato dal crescente peso del pagamento di imposte per finanziare la spesa pubblica, dato che una parte della popolazione riesce a eludere i suoi obblighi fiscali. Nel Disegno di legge sulla delega fiscale – all’art. 2 – si afferma la volontà di “prevenire, contrastare e ridurre l’evasione e l’elusione fiscale”. Su questo punto decisivo – e non sulla riduzione pura e semplice del carico fiscale – si misurerà la capacità del governo di avviare una profonda riforma del sistema tributario che porti finalmente anche l’Italia al livello dei paesi più evoluti.

*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo

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