Europee 2024: l'Unione che verrà

Europee 2024: l'Unione che verrà

Flavio Brugnoli
   

Commento n. 266 - 6 giugno 2023 

Manca giusto un anno all’appuntamento con le prossime elezioni europee, fissate dal 6 al 9 giugno 2024. Con quel voto inizierà il passaggio del testimone fra una delle legislature più travagliate, e non di rado drammatiche, della storia dell’integrazione europea e un nuovo quinquennio, di cui già si delineano le sfide e i rischi. Anche nel dibattito italiano cresce la consapevolezza che quello delle elezioni europee sarà un passaggio fondamentale per la costruzione europea. È tempo quindi di abbozzare sia i primi (provvisori) bilanci sia i possibili scenari sull’Europa che verrà.

Quando nell’estate del 2019 la allora candidata Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, indicò quali obiettivi strategici per il proprio mandato la “doppia transizione”, ecologica e digitale, e il ruolo “geopolitico” della Commissione, nessuno poteva immaginare che fossimo alla vigilia di una pandemia mondiale e che avremmo poi visto il ritorno della guerra di aggressione in Europa. Ma quel programma coglieva la portata epocale della crisi climatica, il ruolo che la sovranità tecnologica aveva ormai assunto, la necessità di interrogarsi sul ruolo dell’Unione in un mondo alle prese con un instabile multipolarismo.

Il Covid-19 ha avviato il ridisegno della governance economica dell’Unione, dalla sospensione del Patto di stabilità e crescita, al varo di Next Generation EU con la creazione di un debito comune europeo, a un nuovo Meccanismo europeo di stabilità (MES) collegato all’Unione bancaria. Ancora non sappiamo come si potrà sconfiggere l’imperialismo putiniano; ma sappiamo che ha reso urgente l’azione per una nuova sicurezza europea, dall’energia (dopo anni di miope dipendenza dalle fonti fossili russe) alla difesa militare, nel quadro di una NATO rivitalizzata e ampliata dall’aggressione russa. Fino alle prospettive di allargamento a nuovi Stati membri, già delineate dal progetto di Comunità politica europea, che riproporranno il tema dell’approfondimento, ovvero dell’architettura istituzionale dell’Unione.

Ma come si preparano gli schieramenti politici europei all’esame elettorale? Sono sotto gli occhi di tutti le manovre per un possibile superamento dello storico accordo fra popolari e socialisti (già minoritario nel 2019 in termini di seggi), su cui si è retta in questi anni la costruzione europea. Andiamo forse verso una inedita forma di bipolarismo europeo, fra un centrodestra e un centrosinistra in via di ridefinizione. Il perno del primo dovrebbe essere un accordo fra il PPE, guidato da Manfred Weber, e l’ECR, il partito dei conservatori e riformisti europei, che ha quale presidente il capo del governo italiano Giorgia Meloni. Una prospettiva che non vede certo unanime il PPE, e rispetto alla quale si attende di vedere come si organizzeranno le altre forze politiche. Ma su questo è opportuno provare ad allargare la riflessione.

Una prima considerazione riguarda la struttura dello spazio politico europeo, in cui si intrecciano più variabili. Se da un lato non pare affatto tramontata la distinzione “tradizionale” fra destra e sinistra, essa si intreccia con quella fra sovranisti ed europeisti (già delineata, con lungimiranza, nel Manifesto di Ventotene). Ma il campo “sovranista” appare a sua volta attraversato da visioni diverse sul futuro europeo. La “policrisi”, le crisi multiple in cui siamo ancora immersi potrebbero spingere ai margini le forze che puntano alla pura e semplice distruzione della costruzione europea e aprire nuovi scenari.

Nell’ipotesi più ottimistica, troverebbe conferma quanto già ipotizzato in passato, su una dinamica di tipo “americano”, che vedrebbe un centrodestra più attento ai diritti degli Stati e più diffidente verso le “ingerenze” del livello europeo, salvo su temi come sicurezza (immigrazione inclusa) e difesa, e dall’altro uno schieramento di centrosinistra più fiducioso sull’intervento del livello (“federale”) europeo, in particolare in economia. È però chiaro che se (i governi di) alcuni Stati mettono in discussione le basi stesse dello Stato di diritto, si minano alla radice la fiducia reciproca e la “leale cooperazione” da cui non possono prescindere le istituzioni europee.

Al tempo stesso, ci si può interrogare sull’impatto a medio termine di un nuovo bipolarismo europeo. Il sistema politico-istituzionale dell’Unione è stato quasi per definizione “centripeto”, con un’ampia convergenza al centro su politiche comuni condivise. Un bipolarismo europeo innescherà una sana “normalizzazione” della scena politica europea o invece una dinamica “centrifuga”, che potrebbe minare la legittimazione delle scelte dell’Unione agli occhi degli elettori dello schieramento perdente? Rimane quindi auspicabile che sui due pilastri decisivi dell’Unione che verrà, quello economico e quello della sicurezza, ci siano ampie convergenze bipartisan. Senza mai dimenticare che in una “Unione di popoli e di Stati”, quelli che contano sono le dinamiche e gli equilibri nel triangolo istituzionale Commissione-Parlamento-Consiglio.

Il Parlamento europeo dovrebbe concludere l’attuale legislatura con una ambiziosa proposta di riforma dei Trattati. Pare molto improbabile che fra gi Stati membri si trovi un qualche accordo in materia prima delle elezioni del 2024. Quello che possiamo augurarci è che le proposte di riforma entrino almeno nel dibattito in campagna elettorale. Come ogni sistema democratico, anche quello dell’Unione è imperfetto e perfettibile. Vedremo se alle europee si sperimenteranno le “liste transnazionali” e se e come verrà rilanciato il metodo degli Spitzenkandidaten. Ben sapendo che l’inizio della nuova legislatura potrebbe essere in salita, con le prime presidenze semestrali del Consiglio affidate, nell’ordine, a Ungheria e Polonia. Intanto, è importante che il Parlamento europeo abbia messo in guardia dai rischi di ingerenze straniere nel voto, mentre la Commissione si prepara a presentare il suo pacchetto di misure per la “Difesa della democrazia”.

L’agenda della legislatura europea 2024-2029 dovrà affrontare un mondo attraversato da formidabili dilemmi strategici: tra democrazie e autocrazie, tra multilateralismo e unilateralismo, tra cooperazione e competizione. Il filo conduttore dovrebbe essere quello dell’autonomia strategica europea, ovvero di come ritrovare gradi di indipendenza (sovranità) europea in un mondo che è e resterà interdipendente. E nel quale domina l’incertezza: dalle scarse prospettive di una “pace giusta” per l’Ucraina aggredita (con l’avvio della sua ricostruzione), al rapporto con una Cina in cui crescono le spinte nazionalistiche, agli Stati Uniti partner indispensabile, ma chiamati, il 5 novembre 2024, a una elezione presidenziale che potrebbe riporre il confronto Biden-Trump, alle spinte a dare voce anche politica alla crescita del “Sud globale” (definizione che mescola realtà molto diverse, ma ormai radicata nel dibattito internazionale).

L’Italia è alle prese con una difficile revisione del proprio Piano nazionale di ripresa e resilienza e con una tardiva ratifica del MES – indispensabile per poterne proporre credibilmente futuri utilizzi diversi. Per le elezioni europee dobbiamo sperare che forze politiche e mezzi d’informazione non si attardino in confronti (favoriti dal voto proporzionale) concentrati solo sugli equilibri domestici. In Europa si costruiscono coalizioni politiche su agende politiche, su temi decisivi per il futuro nostro e delle giovani generazioni. Un Paese fondatore dell’Unione, per il quale europeismo e atlantismo sono sempre stati i pilastri del suo “stare nel mondo”, deve saper essere all’altezza delle sfide che ci attendono.

*Direttore del Centro Studi sul Federalismo

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