L’ Unione europea verso l’allargamento

L’ Unione europea verso l’allargamento

Federico Fabbrini
   

Commento n. 277 - 10 novembre 2023 

L’8 novembre la Commissione europea ha pubblicato un’attesa comunicazione sull’allargamento dell’Unione europea (UE), nella quale ha raccomandato al Consiglio dell’UE di avviare negoziati per l’adesione con quattro nuovi paesi: l’Ucraina, la Moldavia, la Bosnia Erzegovina e la Georgia. In una dichiarazione stampa resa in occasione della diffusione della comunicazione, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha sottolineato la portata storica di questa decisione e argomentato che l’allargamento è una vittoria per tutti: non solo per i paesi candidati, che entrando nell’UE potranno beneficiare di vantaggi economici (partecipazione al mercato interno) e politici (consolidamento della democrazia), ma anche per l’UE stessa che allargandosi aumenterà la sua influenza nel commercio mondiale e il suo peso geostrategico.

Come è noto, il rilancio del processo di allargamento dell’UE è la conseguenza della guerra in Ucraina, formalmente iniziata con l’annessione russa della Crimea nel 2014 ma sostanzialmente aggravatasi dopo l’invasione del febbraio 2022. In risposta alla guerra, l’UE ha significativamente rafforzato la sua politica estera e di sicurezza comune – sviluppando tra l’altro nuovi strumenti, come la European Peace Facility, l’Act in Support of Ammunition Production e ora la Ukraine Facility – finalizzati a sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina e ad aumentare le capacità militari dell’UE. La guerra, tuttavia, ha soprattutto ridato linfa al progetto di allargamento dell’UE, che languiva da oltre un decennio. Dall’entrata nell’UE della Croazia nel 2013, infatti, non vi era stata nessuna prospettiva di nuove adesioni, nonostante formalmente alcuni paesi dei Balcani occidentali e la Turchia avessero ottenuto lo status di paesi candidati. Anzi, con Brexit, l’UE aveva anche perso uno stato membro.

Il repentino cambiamento del quadro strategico ha però mutato le carte in tavola, e l’allargamento è dunque tornato nell’agenda dell’UE per motivi geo-politici. Nel giugno 2022, a pochi mesi dall’inizio della guerra, il Consiglio europeo formalmente concedeva a Ucraina e Moldova lo status di paese candidato, offrendo una prospettiva europea anche alla Georgia. Successivamente, nel dicembre 2022, il Consiglio europeo concedeva lo status di paese candidato anche alla Bosnia Erzegovina. Con la comunicazione di ieri, la Commissione dà dunque una raccomandazione positiva sull’avvio dei negoziati di adesione, che dovrebbero pertanto partire l’anno prossimo (dopo il via libera, a questo punto scontato, del Consiglio europeo del mese prossimo).

Tuttavia, la decisione della Commissione presenta profili critici. Infatti, nel suo articolato rapporto, la Commissione mette in luce come nessuno dei quattro paesi rispetti, allo stato attuale, le condizioni fondamentali per essere considerato paese candidato all’UE – stato di diritto, istituzioni democratiche ed economie di mercato. Nel caso dell’Ucraina, un paese in guerra nel quale si è deciso addirittura di sospendere le elezioni presidenziali del 2024, la Commissione sottolinea come oltre il 90 per cento delle sue raccomandazioni siano state prese in considerazione, ma importanti riforme ancora devono essere attuate, nel campo della lotta alla corruzione, dell’indipendenza della magistratura, della tutela delle minoranze etniche. Nel caso della Georgia, addirittura, la Commissione ammette apertamente che un ulteriore progresso è necessario su ben 12 priorità prima che sia possibile concederle lo status di paese candidato, eppure la Commissione raccomanda comunque al Consiglio di avviare i negoziati sull’adesione “on the understanding” (”con l’aspettativa”, o forse sarebbe meglio dire “con la speranza”) che il governo georgiano adotti importanti riforme in futuro.

Insomma, dal rapporto della Commissione emerge una contorsione: da un lato la Commissione mette in luce l’inidoneità dei paesi candidati ad essere allo stato attuale davvero candidati all’UE, ma dall’altro essa raccomanda di fare partire lo stesso i negoziati di adesione. Sembra evidente, dunque, che la scelta di dare avvio ai negoziati di adesione sia motivata più da ragioni politiche che non da valutazioni oggettive (cd. merit-based). Per quanto i negoziati di adesione siano destinati a durare anni (pur con l’obiettivo indicato dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel di concludere il processo entro il 2030), sembra quindi evidente che il processo di allargamento sia guidato da scelte politiche – di cui peraltro l’attuale Presidente della Commissione non fa mistero di assumersi la titolarità – e non da fattori tecnici e burocratici come l’avanzamento nel recepimento dell’acquis comunitario nei paesi candidati, ovvero la preparazione dell’UE ad assorbire nuovi stati membri.

Infatti, l’altro elemento deludente del rapporto della Commissione è la mancanza di una riflessione strategica sulle conseguenze dell’allargamento per il funzionamento dell’UE stessa. Certamente si potrebbe dire che la questione non compete alla Commissione europea, poiché sono gli stati membri che controllano la procedura di riforma dei trattati, necessaria alla modifica del sistema di governance dell’UE. Infatti, nel summit di Granada in ottobre, il Consiglio europeo ha indicato la necessità di preparare l’allargamento con nuove riforme interne. Nondimeno, nel 2006, la Commissione aveva più audacemente messo in luce come l’allargamento dell’UE dovesse essere accompagnato da una riflessione sulla capacità dell’UE di assorbire nuovi membri (cd. absorbtion or integration capacity). Il rapporto pubblicato ieri però non include traccia della questione, evidentemente sull’assunto che l’UE possa allargarsi a quattro o otto nuovi stati membri con il suo assetto costituzionale attuale e che ciò sia comunque positivo.

Tuttavia, come ha messo in luce la Ministra tedesca degli affari esteri Annalena Baerbock in un importante discorso tenuto a Berlino il 2 novembre scorso, l’UE non deve essere “just larger but, above all, stronger”. In effetti, sono ormai forti le spinte a riformare l’UE per renderla non solo più sovrana, ovvero capace di agire, ma anche più democratica, ovvero legittimata nel modo in cui prende le sue decisioni. Ciò implica, in linea con le conclusioni della Conferenza sul Futuro dell’Europa, una modifica degli assetti istituzionali, con il superamento del voto all’unanimità nel Consiglio, il rafforzamento della capacità fiscale centrale dell’UE e l’introduzione di meccanismi effettivi di controllo del rispetto dello stato di diritto nei paesi membri. Allargare l’UE senza affrontare questi problemi è destinato a complicare le cose, invece di risolverle. Insomma, se la prospettiva di un’espansione dell’UE a Est è probabilmente inevitabile, per motivi geopolitici, è urgente avanzare anche sul tema della riforma costituzionale dell’UE. La Commissione europea si è espressa a favore dell’allargamento. Ma tra qualche settimana il Parlamento europeo presenterà una propria proposta e si esprimerà a favore di una nuova Convenzione di riforma dei trattati. La speranza è che processo di riforme e processo di allargamento possano procedere congiuntamente, in modo da realizzare davvero l’obbiettivo di un’Unione più perfetta.

*Professore ordinario di diritto dell’Unione europea, Dublin City University; Fernand Braudel Fellow, Istituto Universitario Europeo

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