SURE: l’Unione europea vicina ai lavoratori

Olimpia Fontana
Commento n. 179 - 19 maggio 2020

Da quando l’epidemia da coronavirus ha iniziato a diffondersi in Europa, nella prima metà di marzo, l’Unione europea (Ue) si è attivata per affiancare i Paesi membri nella loro battaglia contro un’emergenza sanitaria per cui non si disponeva di una “cassetta degli attrezzi” pronta all’uso. In tempi rapidi e in modo coordinato con gli Stati, la Commissione europea ha messo in campo una serie di misure trasversali: dall’ambito della ricerca per la cura e lo sviluppo dei vaccini al sostegno diretto dei sistemi sanitari, dalla gestione della mobilità all’interno dello spazio Schengen alla lotta contro la disinformazione sull’origine e la diffusione del virus.

In ambito economico, uno dei punti su cui i paesi membri hanno velocemente raggiunto un accordo unanime è la creazione di uno strumento a tutela dell’occupazione, il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Il 2 aprile la Commissione ha avanzato una proposta di Regolamento (che il Consiglio dovrebbe adottare oggi, 19 maggio) per istituire un nuovo “strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza”. L’intento è quello di fornire agli Stati membri dell’Ue risorse aggiuntive rispetto a quelle messe in campo a livello nazionale, fornendo assistenza finanziaria fino a un totale di 100 miliardi di euro. Le risorse concorreranno così a sostenere i costi connessi agli schemi nazionali (già esistenti o in fase di creazione) che consentono alle imprese in difficoltà economiche di ridurre temporaneamente l’orario lavorativo, garantendo così un sostegno al reddito per le ore non lavorate, incluso il caso di totale astensione dal lavoro, con misure analoghe anche per i lavoratori autonomi. Si tratta quindi di una “integrazione europea” che va in supporto di quell’ammortizzatore sociale che in Italia è la cassa integrazione.

SURE assumerà la forma di un regime di prestiti basato su un sistema di garanzie degli Stati membri. La Commissione emetterà obbligazioni sui mercati finanziari per raccogliere le risorse necessarie, che girerà poi sotto forma di prestito a chi ne farà esplicita richiesta. Non sarà quindi uno schema basato su contributi nazionali, anche se al fine di assicurare un elevato rating alle emissioni della Commissione, gli Stati dovranno mettere a disposizione un ammontare di 25 miliardi sotto forma di garanzie, ciascuno Stato in proporzione al proprio peso sul Reddito Nazionale Lordo (RNL) dell’Unione a 27. SURE potrà diventare operativo solo una volta che tutti i 27 Stati membri avranno fornito le garanzie previste.

Per l’Italia ciò significa un impegno per circa 3,18 miliardi di euro di garanzie – come indicato dal Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giuseppe Pisauro nell’audizione informale del 29 aprile con gli Uffici di presidenza delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. I fondi di SURE cui si potrà accedere, a tassi molto favorevoli, non saranno proporzionali all’entità delle garanzie fornite, in modo da poter rafforzare l’intervento a beneficio dei Paesi più colpiti dalla pandemia e dalla crisi. Per evitare l’esaurimento del fondo e permettere l’eventuale accesso a tutti i Paesi membri, è stato posto come criterio prudenziale che l’ammontare richiesto dai tre paesi che ne faranno maggiormente uso non potrà superare il 60% del totale disponibile. In ogni caso un aiuto importante per l’Italia, dove il numero delle domande per schemi di riduzione di lavoro e misure simili ammonta a 8,3 milioni (al terzo posto in Europa), circa il 46,6% degli occupati. Inoltre, SURE potrà dare sostegno anche alle richieste dei lavoratori autonomi, che in Italia rappresentano circa il 15% della popolazione attiva.

Al di là dei tecnicismi, tre sono gli aspetti di SURE da sottolineare. Il primo consiste nel fatto di essere uno schema basato su obbligazioni-prestiti e non su contributi-trasferimenti. In questo modo è possibile raccogliere risorse sui mercati per un ammontare superiore rispetto a quel che deriverebbe da un semplice sistema di redistribuzione tra Stati. E la portata simmetrica dell’attuale crisi richiede un intervento all’altezza delle effettive necessità. Inoltre, un meccanismo di prestiti rende la proposta politicamente digeribile per i sostenitori del rigore fiscale: dovendo il paese beneficiario restituire quanto ricevuto si riduce il rischio di azzardo morale. Il secondo punto riguarda il fatto di essere un meccanismo semi-automatico, che richiede quale presupposto per farne richiesta un aumento (non specificato a priori) della spesa pubblica nazionale, dovuto a misure connesse alla riduzione dell’orario lavorativo. Sulle condizioni del prestito (importo, durata, rate) sarà poi la Commissione ad accordarsi con lo Stato richiedente, con l’unica condizione ex post di destinare le risorse al cofinanziamento delle medesime misure di sostegno al reddito dei lavorati. Tale specificità e la mancanza di strict conditionality sui conti pubblici, rende lo strumento snello e adatto a tamponare una situazione di emergenza. Il terzo aspetto da tener presente riguarda il carattere temporaneo della misura, pensata proprio per dare sostegno a imprese e lavoratori: evitando i licenziamenti, si vuole impedire che uno shock temporaneo abbia ripercussioni ben più gravi e durature sul mercato del lavoro dei Paesi membri.

Tuttavia, vi è il rischio che tale misura non sia sufficiente nel medio e lungo termine: nel peggiore dei casi si teme un aumento del tasso di disoccupazione nel 2021 all’11,2% in Europa, con l’aspettativa di un ritorno ai livelli registrati appena prima dello scoppio della pandemia (7,3% a febbraio nell’Eurozona) solo nel 2024. Il 15 maggio gli ambasciatori del 27 Stati membri hanno concordato che SURE sarà operativo sino a fine dicembre 2022. Un’estensione del programma sarà probabilmente necessaria per evitare un impatto negativo sul reddito dei lavoratori e un conseguente aumento delle disuguaglianze. Su proposta della Commissione, il Consiglio potrà prevedere proroghe di SURE, dopo il 2022, di volta in volta di non più di sei mesi.

Va ricordato che uno schema europeo di indennità di disoccupazione era già al vaglio della Commissione, che da qualche anno propone la creazione di una funzione di stabilizzazione a livello centrale, declinata in forma di sostegno al reddito o supporto agli investimenti pubblici. Una proposta del 2016 formulata a nome del governo italiano dall’allora Ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, torna oggi attuale: creare uno schema europeo di indennità di disoccupazione mirato a quei lavoratori che hanno perso il lavoro proprio per effetto di una fase negativa del ciclo economico. Tale proposta ha valore oggi non solo per le prospettive sulla disoccupazione ciclica, ma anche per le affinità rispetto al SURE. L’idea italiana, infatti, prevede che il fondo elargisca prestiti, non trasferimenti, agli Stati membri per aiutare gli istituti di previdenza sociale sotto pressione per le richieste del mercato del lavoro e che tali risorse siano mirate al sostegno di politiche attive e passive del lavoro. Sia il futuro SURE che lo schema di sussidi di disoccupazione, oltre a un sostegno economico immediato sulla domanda interna, sortiranno l’effetto finale di rendere evidente ai cittadini europei che il progetto di integrazione europea è vivo e pronto a progredire, soprattutto in occasione di una crisi. 

*Ricercatrice al Centro Studi sul Federalismo (pubblicato ieri da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)

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